- Questo evento è passato.
Evento Navigation
“L’ira di Achille” di Mimmo Cuticchio
Introduzione
L’opera dei pupi è notoriamente conosciuta come il teatro che racconta le gesta cavalleresche di Carlo Magno di Orlando e Rinaldo; tuttavia negli anni ’70, in piena crisi di questo teatro, Mimmo Cuticchio per far sopravvivere le tecniche e saperi tramandati da padre in figlio, decise di scrivere nuovi copioni. Questo esperimento è stato efficace perché con i nuovi spettacoli è riuscito a rifondare un pubblico di nuova generazione completando l’esperienza con una drammaturgia dei luoghi funzionale alla messa in scena e alla rappresentazione.
Molti sanno che la storia di Cuticchio è stata una storia di resistenza, ma pochi sanno che gli è toccato attraversare il ponte che collegava un’epoca a un’altra. Aprire il teatro (1973) significò aprirsi alla vita, entrare anima e corpo in un movimento continuo, nel quale vita e teatro si scambiavano reciprocamente l’energia necessaria per resistere.
La spinta al rinnovamento della tradizione dell’Opera dei pupi, ha sempre avuto per Cuticchio e tutta la compagnia, la forza e il peso di uno sguardo bifronte, puntato da un lato al passato, alle proprie radici, e dall’altro proteso al futuro. Un’immagine forte e malinconica come l’Angelus Novus di Paul Klee.
Fino ad una trentina di anni fa, gli spettacoli venivano rappresentati rigorosamente all’interno del boccascena della struttura che noi chiamiamo Teatrino, dove opranti e manianti sono invisibili al pubblico.
Nell’arco di questi decenni, sono state tante le conquiste maturate nel segno della rottura, altrettante sono state le perdite, risarcite – tuttavia – con la salvaguardia della tradizione. All’interno di questa innovazione, si consuma il così detto rischio culturale. La compagnia avrebbe la sua Itaca in cui stare. L’idea di preservare l’Opera dei pupi come oggetto da museo avrebbe potuto concretizzarsi nello spettacolo “per turisti”, dove la conservazione sembra già un valore. La scelta di prendere le distanze da questa “tradizione museificata” poteva condurre Cuticchio in direzioni impreviste e disastrose. Consapevole di tale rischio, gli ha preferito fare un passo coraggioso in un altro emisfero, ponendo il suo “mestiere” al servizio di contenuti e forme nuovi. Cuticchio non utilizza i pupi come “citazioni” preziose o di colore. Semplicemente amplia il proprio repertorio, affiancandolo al classico, mantenendo le regole della tradizione: l’improvvisazione e la composizione, e tuttavia crea corrispondenze nuove, simmetrie, asimmetrie, contrasti e concordanze, sovrapposizioni di situazioni e personaggi, facendo zampillare da vecchie favole bagliori del tutto nuovi.
L’Ira di Achille
Adattamento scenico e regia: Mimmo Cuticchio
opranti: Mimmo e Giacomo Cuticchio
animatori: Tania Giordano, Marika Pugliatti, Emanuele Salamanca
musiche di Giacomo Cuticchio
Scene e costumi: Tania Giordano
Luci: Marcello D’Agostino
Organizzazione: Elisa Puleo
Lo spettacolo qui presentato si svolge su tre piani scenici: gli uomini/pupi, i sacerdoti/pupari e gli dei/attori in una felice contaminazione tra diverse tradizioni orali e performative che è evidente già all’inizio.
Cuticchio ha rielaborato sapientemente il racconto del poema omerico, tuttavia anche coloro che conoscono la storia seguono con il fiato sospeso l’avvicendarsi delle scene.
Trama
Nel decimo anno d’assedio di Troia i Greci affrontano una pestilenza che a sua volta è causa di un’aspra contesa tra Agamennone e Achille. Quest’ultimo si ritira dalla guerra, sordo alle suppliche degli altri Greci e del suo migliore amico Patroclo che lascia combattere al posto suo, con le sue armi, ma poi ne dovrà piangere la morte e tornerà in guerra per vendicarsi, uccidendo a sua volta il principe troiano Ettore. Segue il riscatto di Priamo in una scena madre che il grande oprante e cuntista rende con il massimo impatto emotivo.
La drammaturgia, sempre lineare, segue passo dopo passo l’Iliade senza mai banalizzare o semplificare. La musica, il ritmo incalzante delle scene e dei dialoghi, ma soprattutto il piacere puro, intatto, assoluto del racconto che riscopre l’antica arte dei rapsodi omerici, ci riporta indietro nel tempo ed è significativo come nell’era dei social network ci sia il bisogno innato e radicato sin dall’infanzia di ascoltare e riascoltare le storie non registrate ma rigorosamente dal vivo, perché prendano corpo e voce.